IT
Zeno Filippini è nato nel 1975 a Lugano (CH).
Sin dall'infanzia si interessa alla natura, alle scienze, al disegno e segue il lavoro del nonno, il pittore e scrittore Felice Filippini.
Attento osservatore dei fenomeni naturali, delle forme organiche e vegetali, nell‘adolescenza si immerge nei boschi, esplora grotte e si arrampica in montagna.
Frequenta l'Ecole d'Humanité-Hasliberg (Berna-Svizzera) e ottiene la Maturità Federale scientifica.
Prosegue la formazione in ambito elettronico, meccanico, ottico e acustico (H.P. Büsser Elektronik, Wallisellen, Zürich-Svizzera).
Progetta e realizza sale cinematografiche e Open -Air in varie città svizzere.
I suoi molteplici interessi lo dirigono verso l'ETH a Zurigo: facoltà di Chimica (2005-2007), facoltà di Architettura (2008-2009).
Dopo il 2009 prosegue il suo percorso concentrando la sua attività nel disegno e nel lavoro grafico in cui integra le sue conoscenze scientifiche e tecniche: prendono forma grandi disegni a china, dipinti e installazioni.
Lo scenario dell’arte contemporanea e gli odierni mezzi tecnologici sono stimolo per approfondire il dialogo interattivo tra lo spettatore e l’opera.   

FR
Zeno Filippini est né en 1975 à Lugano (CH).
Dès sa première enfance il s’intéresse à la nature, aux sciences, au dessin, et suit le travail de son grand-père, peintre et écrivain.
Il aime marcher dans les forêts, observateur attentif ; adolescent, il explore des grottes et fait de l'escalade.
Fréquente l'Ecole d'Humanité-Hasliberg (BE) et obtient la Maturité Fédérale scientifique.
Poursuit sa formation dans les champs de l'électronique, la mécanique, l'acoustique et l'optique (H.P. Büsser Elektronik, Wallisellen, (CH)
Projets et réalisation de salles de cinéma et Open Air en Suisse.
Suivant ses multiples intérêts il fréquente des cours à l'Ecole Polytechnique Fédérale à Zürich: faculté de Chimie (2004-2006), faculté d’Architecture (2006-2008).
Il focalise ensuite son activité dans le dessin : son travail graphique intègre ses connaissances scientifiques.
ZF expose régulièrement depuis 2009.

DE
Zeno Filippini (Lugano-Tessin/1975) besucht die École d’Humanité (BE) und erhält die eidgenössische Maturität in Fachrichtung Mathematik und Naturwissenschaften.
Ausbildung im Bereich der Elektronik, Mechanik, Akustik und Optik bei H.P. Büsser Elektronik Wallisellen (ZH).
Er plant und realisiert Kinos und Open Air in der Schweiz.
Zeno Filippini untersucht Muster, Strukturen und Verborgenes in der Natur.
Seine Naturstudien sind nur scheinbar ein Abbild der Realität.
Sie verweisen auf das Geheimnisvolle in der Natur.
Es entstehen grossformatige Tuschzeichnungen, Malerei und Installationen im Raum.
Seine künstlerische Arbeit wird von einer intensiven Beschäftigung mit Elektronik, Optik und Mechanik begleitet.
Er lebt und arbeitet in Lugano und Strasburg und stellt seit 2009 regelmässig aus.

EN
Zeno Filippini was born in 1975 in Lugano (Ticino, Switzerland).
Since childhood is interested in nature, science, and drawing. He follows the work of his grandfather, painter and writer.
He spends a lot of time in the woods he observes carefully; as a teenager he explores caves and climbs into the mountains.
He attended the École d'Humanité in Hasliberg (Bern-Switzerland) and obtained the Federal Scientific Maturity.
Training continues in the electronic, mechanical, optical and acoustic fields (H.P. Büsser Elektronik, Wallisellen, Zürich-Switzerland).
He designs and implements cinemas and Open-Air in several Swiss cities.
His many interests direct him to the Swiss Federal Institute of Technology Zurich: chemistry faculty (2005-2007) and faculty of architecture (2007-2009).
Zeno Filippini explores structures, patterns and hidden realities of nature.
Large black ink drawings, paintings and installations take shape.
Since 2009 he regularly exhibits and continues his artistic research by integrating his technical interests.

MOSTRE / EXPOSITIONS / AUSSTELLUNGEN / EXHIBITIONS
2024
Vis-à-Vis 2D, forma e paesaggio, estate 2024, Visarte Ticino, mostra collettiva, Ospedale Regionale La Carità, Locarno, Svizzera.
Spazio Espositivo La Cornice, giugno 2024, Lugano, Svizzera.
2019
- Orticolario, Villa Erba, Largo Luchino Visconti, Cernobbio, Italia.
- SeeMee, The Affordable Art Fair, Metropolitan Pavilion, New York, USA.
2016
- Wood Tasting, Fuorisalone - Salone del mobile. Aldo Cibic per Slow Wood Labstore, Gianni Cantarutti e Marco Parolini, Foro Buonaparte, Milano, Italia.
- Dichtung und Wahrheit, Proiectum XX, Kunst bei KuhnBieri, Sägesstrasse, Köniz, Schweiz.
2013
- Naturbilder, Artcade Galerie Heidi Gassner, Junkerngasse, Bern, Schweiz.
- Aphorismen, Office goes Art, Kunst bei KuhnBieri, Sägesstrasse, Köniz, Schweiz.
2012
- Morus et bombyces, Office goes Art, Villa Favorite, Schanzeneckstrasse, Bern, Schweiz.
- ArtStadtBern, (curateur avec Adrien Rihs et Fabian von Unwerth), Untere Altstadt, Bern, Schweiz.
- Heimat, Zunft zu Webern, Gerechtigkeitgasse, Bern, Schweiz.
2011
- Alberi, rami e radici, Sala Boccadoro - Museo H. Hesse, Via dei Somazzi, Montagnola, Svizzera.
- Baum-Architektur-Klang-Bild, Charly goes Art, Zentrum Karl der Grosse, Kirchgasse, Zürich, Schweiz.
2009
- Find yourself oder die Selbstabbildung-Box, Weltenbilder, Haus der Religionen, Schwarztorstrasse, Bern, Schweiz.

PUBBLICAZIONI / PUBLICATIONS / PUBLIKATIONEN / PUBLICATIONS
2022
- Vision Magazine, πάντα ῥεῖ, #4 2022, Lugano, Svizzera.
2021
- International Face Magazine, luglio 2021, international-face.com, Miami
2018
- Cenobio, illustrazioni, anno LXVII, numero 3, luglio-settembre, Lugano, Svizzera, ISSN 0008-896X

STRADE MAESTRE E BIVI
Paolo Blendinger

Zeno Filippini (Lugano 1975) è attivo sulla scena artistica dal 2009, anno in cui partecipa alla sua prima collettiva all`Ehemaliger Tiefbauamth di Berna con l’istallazione “Find-Yourself oder die Selbst-Abbildung” che affianca 195 armadietti guardaroba da palestra che i visitatori sono invitati ad aprire per scoprire il loro riflesso.
L’intervento ricupera le origini stesse delle istallazioni, quegli armadi e cassetti proposti da Robert Rauchenberg nei primi anni Cinquanta, in essa, tuttavia, il motivo centrale non è affidato al loro impatto visivo di presenza estraniante, bensì alle fotografie fatte al pubblico, alla loro reazione di fronte ad essa o nel momento dell’apertura delle ante, azione a cui implicitamente sono invitati. 
Si coglie fin da questo esordio l’interesse dell’artista per l’interazione istaurata fra il pubblico e l’opera esposta collocando la stessa su quel sottile diaframma che divide l’arte dalla vita, un concetto, anche questo, riconducibile al New-Dada di Rauchenberg o andando oltre a Duchamp.
Il successivo allestimento pubblico è al centro socioculturale Karl der Grosse di Zurigo nel 2011 in cui presenta un grande disegno di un albero sospeso fra due lampade con raggi ultravioletti che quando vengono accese rivelano segni e strutture prima non visibili nella luce solare.
Nel secondo decennio del XXI secolo l’albero diventa il motivo centrale, anche se non esclusivo, della sua ricerca artistica.
La stessa opera diventa il fulcro, il punto d’arrivo della sua prima personale, “Alberi, rami e radici” tenuta, ancora lo stesso anno alla sala Boccadoro del Museo Hermann Hesse di Montagnola.
Rispetto alla mostra precedente vengono qui presentati tutta una serie di disegni di alberi dall’esecuzione molto elaborata. Essi non solo rappresentano una decisa virata a quanto fatto precedentemente, ma introducono un inedito, particolarissimo approccio dialettico rispetto alla contemporaneità.
Si tratta di disegni che sono distanti da quello che chiamiamo schizzo, la veloce annotazione dal vero, di medio, grande formato hanno richiesto tempi esecutivi lunghi, tempi dilatati in cui ogni moderna urgenza espressiva è assente. Essi sono caratterizzati dai segni incisivi della china al tratto, espressione di un approccio calibrato, dunque cosciente nella loro descrittività. 
L’autore stesso nell’individuare le origini di questa sua sintassi stilistica cita una serie di precisi riferimenti, anche questi discosti dalla contemporaneità, partendo dalle silografie degli anni Trenta del nostro Aldo Patocchi (Basilea 1907-1986 Lugano), artista che conosceva fin da bambino in quanto cresciuto in un ambiente famigliare artistico, silografie che avevano marcato il suo immaginario. Andando a ritroso nel tempo aggiunge altri modelli, le tavole naturalistiche dell’Enciclopédie di Diderot, edita tra il 1751 e il 1772, e oltre ancora le annotazioni paesistiche della pittura trecentesca e delle miniature medievali, tutte annotazioni esplicative, descrittive che ci offrono una lettura lineare che evita le ambiguità dei modelli spaziali rimanendo sul piano della bidimensionalità con un approccio culturale che definiamo educativo, popolare anche nelle pieghe delle declinazioni fantastiche del vero, perché attraverso l’immagine quest’approccio è diventato racconto, e in quanto tale, suggestivo. 
Questa scelta tematica ha le sue ragioni più profonde in una visione immanentistica del creato, quella che era, sempre nel contesto illuministico, propria del filosofo Jean-Jacques Rousseau una visione che in epoca romantica avrebbe avute profonde implicazioni nella resa paesaggistica eroica e visionaria di uno dei più grandi artisti del tempo, quell’Alexandre Calame dove ogni albero alpino rimandava a quel comune destino tra l’uomo e la natura proprio di società ancora prevalentemente agricola, diventando portatore di simbologie arcaiche.
Queste lezioni, trascurate da una contemporaneità che evita le rese metafisiche, restituiscono, in una chiave del tutto personale, il tema all’attualità fosse anche solo nell’ampio dibattito ecologico in corso. 
L’istallazione in mostra marca la ricerca dell’artista che si affina portando sul finire del decennio a munire lo spettatore di un casco in cui un sensore biometrico, in risonanza con le emozioni provate trasformava l’ancora tradizionale disegno in un’esperienza visuale dove la corona dell’albero rivelava non più una statica visione di quello che prima era invisibile, ma tracce, segni in costante mutamento nel flusso comunicativo tra quello che era rappresentato e l’emozione.
Questa evoluzione è stata l’oggetto dell’intervento “Mon arbre c’est ton arbre” nell’ambito di “Orticolario” di Villa Erba a Cernobbio del 2019 – si prenda qui nota anche del particolare contesto espositivo scelto, una fiera d’orticoltura – Zeno Filippini focalizza questi contenuti simbolici:
L’opera, il tradizionale disegno, finiva per partecipare alla radicale ridefinizione dell’opera d’arte che stiamo vivendo, dove l’opera non è più solo portatrice di un’esperienza emozionale, ma anche sensoriale, un contesto inedito che sul piano internazionale ha avuto la sua definitiva consacrazione definitiva con l’apertura a Tokyo il 21 giugno 2018 del Mori Digital Art Museum, il primo museo d’arte digitale immersivo coi suoi 10'000 m² in cui realtà e fantasia si rincorrono in continue estraniazioni.
Per la mostra di Como l’artista riguardo al tema ci affida le seguenti parole:
“Nello specifico ho scelto la quercia per la sua forza e maestosità, privilegiandola per il suo arcaico potere simbolico. La quercia rappresenta, della Natura, l’elemento maschile, dunque la forza e il potere, assieme alla lealtà, la fermezza, la resistenza, l’eroismo.
Ho scelto di renderla con la sua chioma e con le radici isolandola da ogni contesto reale – come in una tavola botanica – per raccontarla nella sua totalità affidando alla chioma il riferimento simbolico al “Pensiero” (Res Cogitans) e alle radici quello alla “Materia” (Res Extensa), memore del dualismo cartesiano tra il visibile e l’invisibile.”
L’albero così, nel rappresentare un’esperienza emozionale, nella sua resa prettamente esplicativa mantiene i suoi contenuti simbolici interrogando lo spettatore.
Questo sviluppo fin dalle sue prime rese disegnative è stato coerente, lineare in quanto la rappresentazione dell’albero fin dall’inizio non si limitava al visibile, al suo tronco, ai rami, alla chioma, ma delineava anche la parte sotterranea delle radici, la parte nascosta all’occhio, sottoponendoci da sempre, nelle parole stesse dell’autore il “dualismo cartesiano tra e visibile e invisibile”. 
Nella descrizione della totalità l’autore viene sottoposto il contrappunto fra la luce, il pensiero e la coscienza, rappresentato dalla chioma e il buio, l’istinto, l’inconscio, rappresentato dalle radici, un rimando di cui le recenti istallazioni costituisco il corollario.

Abbiamo accennato che il tema dell’albero non è esclusivo. 
Poche, in qualche modo eccezionali, sono le escursioni di Zeno Filippini nella pittura, escursioni in cui si confronta col colore usato in chiave allusiva, e con un approccio inedito al vero quale il paesaggio svolto nel ciclo “Heimat”, esposto  al Zunft  zu Webern di Berna nel 2012 in cui si allineavano 56 matite grasse come un ampio fregio, tutte di formato uguale, quello delle cartoline turistiche, rappresentanti in chiave metafisica cime e catene montane che in alcuni casi finiscono per confluire in visioni sul limite dell’astrazione e dove solo una delle composizioni esulava dal soggetto montano in quanto rappresentava una riva di lago, un’inaspettata deviazione in questo taccuino di viaggio memore dei taccuini ottocenteschi in cui gli artisti apponevano le loro annotazioni in occasione del passaggio alpino nel Grand Tour.
Non a caso dunque l’autore vede in questo ciclo la sua raccolta d`impressioni dei suoi viaggi in Svizzera inconsciamente citando le più antiche e fantastiche e visionarie vedute alpine del tardo medioevo come emblematicamente si vedono nella catena alpina con le cime ancora inviolate, sul fondo del dipinto della Pesca miracolosa di Konrad Witz ambientata sulle acque del Lemano. 
Zeno Filippini resta sempre legato al disegno che rappresenta l’architettura, la struttura più profonda, portante di ogni figurazione.
Giuseppe Bolzani, uno dei migliori disegnatori ticinesi del XX secolo, riguardo ad esso ci riporta:
“Malgrado le zone di imperfetta scrittura e di impreciso calcolo degli spazi, malgrado ogni possibile deficienza sintattica, i disegni restano come una prova di ogni momento vero di vita, quindi identici a noi, reali come la nostra stessa realtà.”
Queste parole ci partecipano alla coerenza, all’umiltà e all’ostinata applicazione del nostro artista e alla sua personale testimonianza nella contemporaneità.
Altro ancora: nell’ottobre 2020 ha partecipato alla manifestazione “Inktober” in cui ogni giorno del mese di ottobre andava postato in internet un disegno a china. Per quest’occasione ha realizzato 30 disegni di cm. 15x15 che, ancora una volta hanno intrapreso un nuovo corso tematico. L’artista considerando questo ciclo come un mero esercizio di disegno può permettersi d’intraprendere un viaggio introspettivo, una sorta di viaggio nel ricordo. Così descrive i banchi di liutaio visti col padre, celebre violoncellista, percorre visioni urbane di grattacieli, notturni temporaleschi, paesaggi con savane, deserti più mediazioni letterarie che descrizioni – penso al “Deserto dei tartari” - ripercorsi nel proprio bagaglio culturale, nel proprio museo immaginario che vedono la nascita di di omaggi al Caravaggio con la “Medusa” che si riflette nello scudo di teso, o Böcklin con “L’Isola dei morti “, più magrittiana che bökliniana. Davanti al suo disegno che interpreta i ratti del tempio di Karni Mata nel Rajastan, ci si rende conto che l’introspezione è di natura surrealista, non di quel surrealismo storico sviluppatosi a Parigi nel 1924, ma di quel proto-surrealismo che in un Alfred Kubin in Austria o un Alberto Martini in Italia ha avuto i suoi precursori.
Anche nel 2021 ripercorre le strade dell`”Inktober”. Stavolta appaiono anche macchine, utensili casalinghi quali un ventilatore, scheletri di scafi di legno in costruzione e scheletri veri di profilo -forse ciò che resta dei ritratti rinascimenteli del Piero della Francesca – confronti e divertimenti che tuttavia svelano la generale visione onirica che Zeno Filippini ci porta, espressione di uno scavo profondo e idealista che confluisce nel realismo descrittivo dei suoi alberi perché … non tutto è quello che ci appare nell’immediato.
Nei recentissimi disegni del ciclo “Pánta rheî”, pubblicati nel quarto numero della rivista luganese di “Vision”, l’autore innesta la sua visione sulla perfezione espressa dai solidi platonici, esponendoli tuttavia alle ambiguità delle costruzioni impossibili di Escher e alla corruttibilità imposta da una vegetazione, stavolta fantastica, che li invade.
I cinque disegni riprodotti ci sottopongono il dubbio, un elemento nuovo nella sua arte in perfetta risonanza con la contingenza del presente. L’artista però resta preciso, tagliente in ciò che esprime commentando questi disegni col sottotitolo proposto per questo ciclo:
“Tutto scorre e si trasforma. Della mutevolezza delle idee e della rappresentazione”
Il bivio è posto, eppure ad una lettura attenta, anche nei dettagli minimi fin dalle sue prime piante che pertanto sembravano così vere, andavano prendendo forma mondi straordinari, quelli comuni a noi tutti di cui l’artista si faceva interprete e allora, già lì si scoprivano come dei mostri nelle protuberanze dei tronchi, come serpenti nelle radici, serpenti che s’attorcigliano e che una volta scoperti non ci abbandonano più.
Sono i mostri che abitano i nostri sogni e che talora si palesano, sono distorsioni del nostro comune immaginario che prendono forma, le stesse perenni ossessioni che hanno avuto eccelsi interpreti attraverso tutta la storia dell’arte, così Hieronymus Bosch, così Francisco Goya.
Ecco, i tempi ponderati dell’arte di Zeno Filippini, il silenzio e la solitudine del suo atto creativo evocano questi tempi distanti, essi richiedendo una lettura attenta e vogliono che anche noi ci prendiamo tempo, il giusto tempo, nell’osservazione per scoprire sotto l’apparente pelle realistica “altro” in un viaggio che diventa esperienza.
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