Sotto la pelle del disegno scorre sempre un magma in cui mondi interiori emergono ed altri decantano, celandosi. È un vero e proprio tumulto percepibile nel più istintivo, immediato schizzo, ma soprattutto quando le trame segniche s’infittiscono, s’accavallano insistenti, s’affastellano rincorrendosi e soprattutto, si confrontano in quella complessa e ostinata ricerca dell’adesione al vero, , a quella verosimiglianza che definiamo realismo.
Quest’anelito, fin dai suoi esordi artistici, rappresenta la cifra stilistica di Zeno Filippini che al solo tratto ha affidato il suo racconto. Esso se non permette alcun pentimento, alcuna incertezza, altresì concede nella costruzione dell’immagine di procedere con osservazioni, dettagli, divagazioni, che ci permettono d’indugiare su questi appunti dove ê proprio il nostro indugiare a rilevare la loro significanza. Nella nettezza descrittiva di quest’approccio nulla sembra ambiguo, tutto è leggibile, percorribile, immediatamente comprensibile.
Eppure in questa ricerca c’è l’apparenza sola.
Nella scrittura si è insinuata una tenacia, persino una caparbietà rara, riflesso anche del carattere dell’autore, che si esprime in ritmi esecutivi lenti e poco frequentati, in qualche modo distanti dal nostro tempo, dove prendono forma le riflessioni dell’artista e con esse la coscienza acquisita nella solitudine e nel silenzio dell’atto creativo.
Il confronto col vero, la volontà di renderlo nella sua complessità in modo quanto più preciso possibile in qualche modo rappresenta l’annullamento di fronte ad esso, una rinuncia alla creatività, alla Invento vasariana che vede nell’esecutore semplice strumento. Ma è proprio questo tipo d’approccio a condurre l’artefice, e lo fa sempre, su strade impreviste, come se nella nostra imperfezione non fossimo adeguati a rincorrere il vero evidenziando la nostra condizione di semplici mediatori. Si oppongono in questo processo il bagaglio del vissuto, delle esperienze e s’insinua, al di là di ogni volontà, il Caso.
In questo sforzo immane di confronto con la scrittura perfetta della Natura restiamo incapaci di sottrarci   e alla sintesi segnica. In pittura non ci è riuscito il realismo tagliente dei pittori di nature morte del passato, non ci è riuscito l’iperrealismo che ha finito per confinarsi in una solitudine metafisica, raggelante, non ci sono riusciti quei maestri virtuosi del disegno quali un Piranesi che dalle puntigliose descrizioni della Roma antica ha finito per condurci nei meandri del pensiero con le sue Prigioni e altri ancora quali un Callot o un Goya che hanno destato, impietosi, i mostri più intimi della loro natura con impietosa e spietata concretezza.
Se questo è l’invito a riscoprire degli artisti che hanno scavato dentro di sé, è pure quello di confrontarsi col disegno di Zeno Filippini e con quella dimensione surreale espressa a cui non riesce a sottrarsi: la sua introspezione, l’esigenza stessa alla confessione non è solo l’espressione di un innato talento, di un dono che si è rivelato.
Commuove questa puntigliosa dedizione all’immagine in cui sono penetrate le ossessioni, le paure, gli ideali, quei moti anche contrastanti che attraverso un segno – di-segno – sanno affascinarci, catturarci.
Paolo Blendinger
Selva, 2024
Acquaforte stampata su carta Magnani acquaforte (310 g/m2), 31 cm x 21 cm
Questa incisione in acquaforte, tirata da una lastra di rame, è stata stampata dai torchi di Roberto Giudici in Varese su carta Magnani acquaforte di 310 gr. in 40 esemplari con numerazione araba + 20 esemplari con numerazione romana. I singoli fogli sono firmati e numerati dall’artista.
L’edizione è stata realizzata appositamente per André Gauchat, Baloise Assicurazione SA, STV - Account Management Ticino nell’autunno 2024.